di Lidia Di Lorenzo
LAurelia d’Este (1683-1719), discendente da una delle famiglie più illustri d’Italia, venne a Napoli nel 1705 sposando Francesco IV Gambacorta e divenendo, perciò, duchessa di Limatola. Per i suoi meriti culturali fu accolta nell’Accademia di Roma col nome di Egle Parreniade e poi in quella di Bra col nome di La Concentrata: era esperta di storia e filosofia, in modo particolare seguace del razionalismo francese e cartesiano e autrice, tra l’altro, di libri di rime, non pervenute. Abile e brillante conversatrice, nel Palazzo Gambacorta di Napoli e nel Castello di Limatola riuniva i letterati del tempo e animava le conversazioni dotte. Poetessa e saggista, si interessò anche di fisica e metafisica.
Furono suoi
ospiti, oltre a numerose nobili donne del tempo, lo stesso Gian Vincenzo
Gravina, uno dei fondatori dell’Accademia, e il suo amico e ammiratore Paolo
Mattia Doria, illustre filosofo e matematico, il quale ebbe il merito di
raccogliere le conversazioni che avvenivano nel suo salotto e di farne delle pubblicazioni.
Proprio alla duchessa dedicò la Vita civile e I Ragionamenti,
pubblicati a Napoli nel 1716.
Interessata alla politica del suo tempo, sostenne e risollevò le sorti del
marito Francesco e di tutta la famiglia Gambacorta, caduta in disgrazia per
essere stata, nella persona del cugino Gaetano Gambacorta, promotrice della
congiura antispagnola, la Congiura di Macchia del 1701.
Aurelia morì
giovane, ad appena trentasei anni, compianta in tutta la città di Napoli.
Nell’elogio funebre viene lodata per essere riservata, “amante della natura e
del sapere, adorna di non mediocre letteratura”, affidabile e umile. Noi
possiamo riconoscerle il merito di essere stata la prima “femminista” d’Italia,
non perché lei immaginasse una parità con l’uomo nella normativa, cosa molto
prematura per i tempi, ma perché per suo merito uomini illustri del 700
riconobbero la funzione civilizzatrice della donna come armonizzatrici delle
parti sociali, e potettero affermare che la donna in quasi tutte le virtù
più grandi, non è (essere) inferiore all’uomo, così il Doria.
E come dimostra il poeta Metastasio in questa lettera indirizzata proprio alla
duchessa di Limatola
1 agosto 1716: Lettera del
Metastasio ad Aurelia Gambacorta d’Este, duchessa di Limatola
Egli è proprio dell’umana mente
rivocare in dubbio cose delle quali l’esperienza presenti e sensibili idee alla
fantasia non dipinga. Da quale universal costume condotto anch’io, nel dubbioso
pensiero se le valorose donne che l’antichità ci presenta fossero veri soggetti
o nomi vani e della favolosa Grecia ingegnose invenzioni, mi sono lungamente
ravvolto; né si agevolmente me ne sarei potuto per avventura disciorre con dar
credenza all’antiche memorie, se la mia in ciò felicissima sorte non mi avesse
nell’Eccellenza Vostra mostrata non solo la prova di questa verità, ma
la certezza altresì che in ogni secolo ed ognitempo si dèstino i sublimi
e maravigliosi spiriti, i quali par che siano all’antichità semplicemente
dovuti.
Quale errore
in taluni benché eruditi e savi intelletti si genera o si alimenta da un falso
discorso interno, guidato dalla fallace immaginazione che alla mente tutti
quegli eccellenti e divini soggetti, che in tanti e sì diversi secoli fiorirono,
senza idea di distanza fra loro unitamente rappresenta.
“È proprio della natura umana dubitare di quelle cose di cui non può fare
diretta esperienza. Sedotto anche io da questo costume universale, lungamente
sono stato avvolto dal dubbio se le donne valorose che l’antichità ci presenta
fossero persone reali o nomi illusori e originali invenzioni della favolosa
Grecia; né così agevolmente me ne sarei potuto per caso sciogliere, dando così
credito alle antiche memorie, se la mia in tal caso felicissima sorte, non mi
avesse mostrata nell’Eccellenza Vostra la prova di questa verità,
e così anche la certezza che in ogni secolo ed in ogni tempo si sveglino
sublimi e meravigliosi spiriti, che invece sembrano dovuti solo all’antichità.
Tale errore si genera o si alimenta da un falso discorso interno, sostenuto
dalla falsa immaginazione che rappresenta in taluni spiriti, benché intelletti
eruditi e saggi, che tutti quegli eccellenti e divini soggetti siano senza
distanza temporale fra di loro. […] Ed in verità non so in quale fortunata età
possa essere nata una donna che come voi accogliesse in sé tanti pregi così
leggiadramente.
Poiché se io ho riguardo che essi derivino dalla sorte e non da opera vostra,
io vi vedo discesa dall’illustre sangue della gloriosissima Casa d’Este che per
quasi mille anni, adornando le regge d’Europa, è giunto fino a noi attraverso
le vene di eroine ed eroi: da quel sangue del quale se io volessi scrivere i
pregi, col mio modesto ingegno potrei offuscare lo splendore. Né debbo, a mio
parere, ritenere dono minore fatto a voi dalla sorte, l’avervi unita
all’Eccellentissimo signor Francesco Gambacorta, duca di Limatola, vostro
degnissimo consorte; il quale alla magnificenza dell’animo suo, alla saggezza
della sua mente ed al candore dei suoi costumi aggiunge l’illustre lignaggio
della famiglia Gambacorta, la quale occupando nella Repubblica pisana posti di
prestigio, giunse con Lotto Gambacorta alla signoria assoluta, e i suoi
successori risiedettero in essa, finché Giovanni trasportò la nobile famiglia
nel regno di Napoli, ove dividendosi in più rami, risplende di tanta gloria”.
La lettera continua con lodi alla vaghezza, al sembiante, alla grandezza dell’animo, alle piacevoli maniere, alla gentilezza delle espressioni della nobilissima donna, al meraviglioso ed elevato suo ingegno, al suo saggio discernimento delle cose, e sopra tutto alla mente purissima, che, liberata per merito degli studi filosofici di ogni volgarità, è capace di attingere alla fonte prima dell’onesto e del giusto.
Siamo tra la fine del 600 e l’inizio del 700; la vita culturale delle Accademie, come l’Arcadia, vede numerose donne di nobili casati animare i salotti letterari e discutere al pari dell’uomo di argomenti fino ad allora solo ad essi riservati. Presenti in tutti i circoli che si generarono dalla prima sede in Roma e si diffusero in Italia, per la prima volta guardarono alla cultura d’oltralpe e osarono discettare di letteratura, filosofia, scienza, politica, influenzando con le loro idee anche i sovrani del tempo. La duchessa di Limatola è una di queste, sia a Roma che a Napoli.
Lo testimonia appunto questa parte della lettera che Pietro Metastasio (1698-1782), il massimo esponente della scuola letteraria dell’Arcadia, appena diciottenne, indirizzava ad Aurelia Gambacorta d’Este, duchessa di Limatola, il primo agosto del 1716, in accompagnamento ad un modesto suo dono, un piccolo poemetto, scritto in occasione di una nobile nascita, di una tragedia intitolata Il Giustino e di altri brevi componimenti, che l’illustre dama aveva già avuto modo di vedere. In essa con linguaggio aulico non estraneo alla ridondanza barocca, confessa la sua ammirazione per la donna colta e volitiva, per la quale dovette avere una infatuazione giovanile. Ricorda, infatti, che ancora quattordicenne, quando ebbe la ventura di inchinarsi a lei per la prima volta, avvertì che le doti in lei, così meravigliosamente fuse, fossero “singolare e meravigliosa cosa”, simili alla fragranza di un giardino fiorito e simili alla sinfonia che proviene da più strumenti accordati.
Ma la lettera, unica rimasta del folto e significativo carteggio distrutto poi per volere di entrambi, e riportata nella prefazione delle Prose di Carducci, ha ben altro valore che è da ricercare nel contenuto, riferito ad una “universal” questione che in quei tempi si poneva prepotente: se le grandi donne fossero solo quelle del passato, se queste fossero reali o frutto della fantasia dei Greci e, infine, se una donna potesse avere in tutti i tempi, come l’uomo, sublime e meraviglioso spirito, ingegno e valore. La presenza massiccia di donne colte nell’Arcadia e il fatto che dell’Accademia era stata ispiratrice una donna, la regina Cristina di Svezia, esule in Italia dopo aver rinunciato al trono per riconquistare la sua libertà, mette in crisi gli spiriti dotti, tanto che il Metastasio afferma nella lettera che l’aver osservato e ammirato in Aurelia tante manifeste doti spirituali e umane ha consolidato in lui quella certezza che già possedeva, ma che la cultura del tempo contrastava.
dal sito: wwwterredeigambacortaonlus.net, 2016
autore: Lidia Di Lorenzo
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