di Lidia Di Lorenzo
Qualsiasi altro lavoro che una persona possa svolgere al nord di Roma, impone di rimanere ivi tutta la vita. Nella scuola no. Il vantaggio, se così lo si può ritenere, è quello di avere la possibilità di ottenere prima o poi il trasferimento nel proprio territorio, il ricongiungimento con la famiglia, il ritorno agli affetti di sempre, alla propria gente, alle proprie cose, con notevole beneficio economico. Era ciò che il professore auspicava e così avvenne.
Come previsto, a fine giugno arrivò la notizia del trasferimento. I docenti corsero dal preside a chiedergli perché avesse preferito il Frignano ad un luogo dove già si era abituato e dove in fondo stava bene. Ormai si era stabilita con lui una bella intesa. L’anno era trascorso in pace e serenità. Molte attività nuove erano state introdotte nella scuola. Le famiglie e gli alunni erano contenti.
Meravigliato che i docenti conoscessero quel luogo della Campania anche a lui sconosciuto cercò di approfondire il ragionamento e capì che essi si riferivano al Frignano modenese posto anch’esso in Emilia, non a Frignano, addirittura in provincia di Caserta, a pochi chilometri dalla sua casa. Arresisi di fronte a tanto evidente vantaggio, augurarono a se stessi che al suo posto arrivasse un dirigente simile a lui per il successivo anno.
Il trasferimento in provincia di Caserta rappresentò per il Preside e tutta la famiglia una bella notizia. Nessuno, tuttavia, era a conoscenza della esatta ubicazione del luogo.
Ad agosto il Professore salutò, non senza commozione, i docenti e il personale, poi Otile, i suoi figli, Coride e Luigi, il parroco e, prese le ferie che gli spettavano, tornò per sempre a casa.
Ora c’era bisogno di una nuova macchina e così acquistò una PANDA YOUNG rossa fiammante, che gli alunni smaliziati di Frignano battezzeranno subito con ironia “La testa rossa del Preside”.
Preso accordo con il preside uscente, si recò con la moglie a conoscere la nuova sede: Frignano, paese confinante con Casale di Principe, S.Marcellino, Villa di Briano. Scuola di oltre seicento alunni.
Anche il cognato veniva contemporaneamente trasferito. La sua sede era proprio Villa di Briano, scuola con oltre 400 alunni, e ricevette, come prima risposta al suo carattere deciso, l’incendio della scuola, nei primi mesi del suo lavoro in quella sede.
L’edificio scolastico era decoroso, grande di due piani, oltre al piano terra, circondato da un ampio cortile e parcheggio per le macchine. L’ufficio di presidenza e gli uffici di segreteria erano in posizione strategica, gli altri locali, compresa la palestra, idonei alle attività scolastiche, anche se con pareti molto istoriate.
Il preside uscente in evidente stato di euforia per il trasferimento al suo paese, in vena di palesare ad un collega la sua visione della scuola, forse con un poco di esagerazione, mise in guardia il nuovo venuto su alcuni aspetti particolari della vita scolastica e sulle precauzioni da prendere. Il Preside avrebbe dovuto tenere tutti a debita distanza, far finta di non vedere tante cose, badare a sopravvivere. Mai avrebbe dovuto parlare della sua famiglia e soprattutto mai rivelare dove i figli andassero a scuola!
Ovviamente il nuovo Preside non si comportò in linea con i suggerimenti e instaurò rapporti cordiali con tutti. Amichevole, ma non confidenziale, autorevole, ma mai inflessibile, paziente, umile, semplice, resistette sei anni, non senza momenti di tensioni e di grandi difficoltà. Dalla acritica e a volte ottusa obbedienza alle norme, fatta col personale della sua prima esperienza, era passato al luogo della disinvoltura nell’interpretazione di esse o anche alla completa inconsapevolezza che ce ne fossero. Dal rigore assoluto all’indulgenza sui comportamenti, dall’inclemenza alla forzata assoluzione.
Il giorno del suo onomastico, S. Giuseppe, il Preside portava a casa la sua cinquecento piena di fiori e doni, di piccolissimo valore, ma espressione del cuore di quegli alunni e di quella gente appassionata, dove ti sapevano amare con tutto il trasposto o odiarti, dove ti sapevano rispettare o sfidarti, proteggerti o danneggiarti, dove a volte ti davano più del dovuto. Bisognava capirli!
Il Preside, affezionato alla latinità, ripeteva con un sorriso, che in quelle terre i Romani avevano lasciato una legione un poco ribelle e pertanto era nel DNA della popolazione locale tutto quello che la cronaca di essa raccontava, mettendola in cattiva luce, così come la condotta di molti degli alunni, turbolenti, resistenti alla disciplina, a volte rissosi, ma più maturi della loro età, capaci di fronteggiare adulti, autorità e qualsiasi situazione nuova.
Iniziato l’anno scolastico, così come si fa in tante scuole, il Preside volle dare un saluto ufficiale agli alunni e al personale, invocando ed ottenendo per quel giorno la presenza del Sindaco. Il giorno giunse tra lo scetticismo di tutto il personale, docente e non docente: mai si era potuto fare un raduno generale di tutti gli alunni nel cortile, in nessuna occasione.
Il Preside insistette e diede ordine di allestire un piccolo palco ad un lato del cortile, attrezzato di pedana e microfono, di tavolo dove potersi appoggiare dopo l’intervento. Nella sua mente pensava ad alunni interessati a conoscere il nuovo corso dell’anno scolastico, alle attività che si sarebbero svolte, alle finalità generali di un anno di lavoro. Immaginava ragazzi che proponessero attività e facessero domande, che chiedessero al Sindaco di fornire sussidi, attrezzature, pullman per le gite, sussidi vari, campetti per giochi e attività sportive. Detto dalla stessa bocca degli alunni le richieste sarebbero state in gran parte accolte dall’autorità cittadina.
Il Sindaco arrivò accompagnato dalle guardie municipali, mentre gli alunni scendevano con gran fragore nel cortile, primo sintomo che le cose non si sarebbero messe affatto bene.
Quando la platea fu completa, prese la parola il Sindaco, ma ad ogni frase fischi e clamori incontenibili coprivano la sua voce. Invano si appellava alla sua autorità: “Sono il vostro Sindaco!”, coadiuvato dalle forze dell’ordine.
Tentò anche il Preside di parlare, ma fu tutto inutile, così dopo una mezz’ora in cui docenti e personale ausiliario avevano cercato di rabbonire gli alunni, si dovette desistere e gli alunni furono riaccompagnati nelle classi.
Al povero Preside non rimase altro che ricorrere ancora una volta ai Romani e seguire la loro strategia: Divide et impera! Pensò. Nella disfida tra Roma e Albalonga, al fine di evitare una guerra con spargimento di sangue fraterno, si decise che tre Orazi romani si scontrassero con i tre Curiazi albani, alla spada. Dei romani al primo scontro due furono uccisi. Allora quello rimasto incolume pensò di dividere i tre nemici, scappando di corsa verso Roma. I tre a causa delle ferite riportate avevano velocità diverse e fu così l’Orazio li potette affrontare uno alla volta, vincendo.
Per salutare gli alunni dovette recarsi classe per classe ed essere anche breve, prima che la loro pazienza nell’ascoltare sermoni e cose scontate si esaurisse clamorosamente.
autore: Lidia Di Lorenzo; foto: la Scuola Media di Frignano, dal web
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