La formazione del Catasto onciario ordinata da Carlo il Borbone, fu regolata dalle apposite disposizioni emanate dalla Camera della Sommarìa tra il 1741 e il 1742. Disposizioni stampate e trasmesse a tutte le Università del Regno tramite le autorità provinciali. Il documento conclusivo del “Librone dell’onciario” fu redatto in duplice esemplare, di cui uno destinato all’Università stessa[1][1] e l’altro, con tutti gli annessi (preliminari, apprezzo, rivele), era trasmesso al grande archivio della Camera della Sommaria in Napoli, dove tuttora si conserva nella Sala Catasti, già Sala del Capitolo dei monaci, lunga m. 19 per m. 6 e alta m. 6. In questa sala si conservano 9053 fasci di catasti ed atti affluiti da tutte le province del Regno[2][2]. Il Catasto onciario è articolato in 4 parti: Atti preliminari, apprezzo, rivele, onciario. La compilazione del Catasto era affidata agli amministratori, ossia ai “Sindaci ed eletti che compongono il corpo dell’Università”, come è detto in apertura delle prime istruzioni. All’apprezzo, documento meramente descrittivo, è attribuito il ruolo di “principale atto, anzi fondamento del Catasto”. Esso costituisce la fonte privilegiata per lo studio del paesaggio agrario (tipi di colture, toponimi rustici) e concorre con le altre parti del Catasto allo studio del patrimonio terriero nelle varie Università. L’apprezzo difatti riguarda “…vigne, oliveti, chiuse, foreste, difese, giardini (eccetto quei piccoli giardini che sono accosto le case dei cittadini per proprio uso), boschi, selve, arbusti,.castagneti, terre seminatorie o pascolatorie, in guisa che tutto il territorio è apprezzato”,. L’apprezzo è fatto dagli “agrimensori, apprezzatori e ben esperti e ben intesi del Territorio della terra dove si forma il Catasto”[3][3].

Le rivele, che possiamo considerare simili alle nostre dichiarazione dei redditi, sono regolate da un apposito bando contenuto nelle istruzioni. Esse sono raggruppate alfabeticamente in separati fascicoli articolati secondo categorie stabilite: cittadini e forestieri, laici ed ecclesiastici, abitanti e non abitanti. L’onciario è il documento conclusivo del catasto e consta di due parti strettamente connesse: la prima di natura analitica e descrittiva, la seconda di natura strettamente fiscale. Nella prima parte si susseguono in ordine alfabetico-onomastico i singoli articoli o partite catastali. Il testatico, applicato per capofuoco è regolato dalla seguente norma: “Per la testa sono tassati tutti coloro che non vivono nobilmente, cioè tutti coloro che esercitano qualche arte non nobile, ma manuale. Sono perciò esclusi dalla tassa della testa così quelli che vivono delle loro rendite, come anche i Dottori di Legge, i Medici fisici, i Notari ed i Giudici a contratti: si avverte però che in alcuni luoghi del Regno persone vili, e che esercitano mestiere non nobile, sogliono essere Giudici a contratti, anche questi non devono essere esenti dal pagamento della testa…oltre alla tassa per gli beni, e per la testa, pagano anche i cittadini per il mestiere che taluno faccia con la persona”.

Passando a trattare più specificamente del Catasto onciario di Limatola è necessario riferire che Limatola apparteneva alla provincia di Terra di Lavoro e al distretto di Capua.

Nel 1754, quindi, fu compilato il Catasto onciario di Limatola i cui abitanti erano circa 900. La popolazione attiva, tenuta a pagare il testatico, costituiva il 47,5% di cui la maggior parte era dedita al lavoro agricolo, cioè circa il 61% dell’intera popolazione.. Aggiungiamo che la maggior parte della popolazione era composta da piccoli proprietari nella cui categoria entravano quasi tutti i braccianti. Il terreno era concentrato nelle mani dei magnifici, dei massari e dei contadini. Tuttavia i magnifici e i massari, da soli, possedevano la gran parte delle terre e degli animali da lavoro, ed avevano tutti case di proprietà, come si evince dalla seguente tabella:

Ceti sociali

 

Case proprie Case in affitto
Magnifici 12
Massari 12 1
Bracciali 3 3
Vaticali[4][4] 3 1
Contadini 78 30
Artigiani 2 2
Molinari 1 1
Vedove e vergini in capillis[5][5] 20 4

Le case di magnifici e massari erano di più membri, talvolta anche a due piani. Il piano terra era detto sottano e il primo piano soprano. Il più ricco di Limatola nel catasto risultava essere il magnifico Giovanni Andrea Pannone di anni 41. Viveva con la moglie Caterina Farina di anni 48, i figli Angelo di anni 14,  Salvatore di anni 13 e Vittoria di anni 9, e con la madre Clara Gisonna. Abitava in casa propria di più membri con orticello contiguo. Possedeva circa 113 moggi di terreno, 5 buoi, 2 vacche, 1 giumenta, 15 pecore e altri beni. Al secondo posto risultava il magnifico Giovanni Canelli di anni 36. Possedeva 66,5 moggi di terreno ed abitava in casa propria con un orticello contiguo di 1 moggio. Consultando i libri degli archivi parrocchiali di Limatola riferiti a quegli stessi anni, possiamo rinvenire ulteriori notizie sugli abitanti. Veniamo a conoscenza della data del battesimo di Salvatore, figlio del citato magnifico Giovanni Andrea Pannone: “Anno domini 1739, die vero primo mensis, decembris ego parochus Yosephus de Giglio, sacerdos caiatinus, occasione missae quam celebro in diebus festivis, baptizavi infantem legitime natum ex Magnifico Yohanne Andrea Pannone et Caterina Farina, coniugibus, cui impositum fuit nomen Salvator, Thomas Eligius Yosephus, obstetrix Lucretia Mastroianni”.

Il primo tra i massari per censo risultava Bonaventura D’Agostino di anni 37. Viveva in casa propria con la moglie Domenica Corvino di anni 33 e i figli Antonio di anni 6, Andrea di anni 4, e Tommaso di anni 1[6][6].

Possiamo notare come i nuclei familiari, i fuochi, con più componenti sono tra i massari 5,76 e i magnifici 5,75. Ciò si può comprendere considerando il significato di fuoco che secondo la definizione legale era un gruppo di persone che dormiva sotto lo stesso tetto e mangiava alla stessa tavola, “ a uno pane e a uno vino” come si diceva a Firenze[7][7].

Si trattava, quindi di persone unite da stretti vincoli di parentela e solidarietà economica. Nei fuochi dei magnifici e dei massari si rinviene la presenza sotto lo stesso tetto di zii, fratelli e sorelle non sposati.  Ciò avveniva anche per non frazionare le proprietà con limitazione dei matrimoni dei figli. Dalla seguente tabella possiamo rinvenire nel catasto onciario di Limatola la seguente realtà.

Ceti sociali

 

Media dei componenti Numero fuochi
Magnifici 5,75 12
Massari 5,76 13
Bracciali 3,5 6
Vaticali 4,5 4
Contadini 4,1 108
Molinari 4 1
Artigiani 5,3 3
Vedove e vergini in capillis 7 24

Da un censimento condotto nel 1855 dall’Intendenza dell’Agricoltura, Industria e Commercio (ASC, busta 139) possiamo reperire i mestieri che si praticavano a Limatola. Maschi: bracciali n. 214, massari n. 54, giornalieri n. 21, possidenti n. 21, calzolai n. 13, preti n. 13, agricoltori n. 9, pecorai n. 5, barbieri n. 4, sarti n. 4, falegnami n. 3, medici n. 3, negozianti n. 3, garzoni n. 3, bifolchi n. 3, coloni n- 2, ortolani n. 2, bettolieri n. 2, molinari n. 2, sacrestani n. 2, servi n. 1, guardiani n. 1, farmacisti n. 1, studenti n. 1. architetti n. 1, senza mestiere n. 348, su un totale di n. 836 persone. Femmine: filatrici n. 366, giornaliere n. 14, massare n, 9, possidenti. 6, sarte 5, mendiche n. 2. ostetriche n.1, serve n. 1, senza mestiere 440, su un totale di 844 persone.

In conclusione possiamo dire che il Catasto onciario fornisce significativi elementi di conoscenza della struttura socio-economica e professionale della popolazione, nella seconda metà del XVIII secolo. All’epoca la popolazione era globalmente giovane a Limatola, come nelle altre Università del Regno, difatti l’età media variava tra il 22,4 e il 25, 5 di anni. La presenza di una persona di età non superiore a sei anni è molto grande ed esprime l’elevata natalità, nonostante fosse a quei tempi, come risulta dai Libri dei morti delle parrocchie, elevato il tasso di mortalità infantile. La metà della popolazione si addensava nei primi diciotto anni di età. C’è da aggiungere infine che nell’intenzione del sovrano Carlo il Borbone, il Catasto doveva rappresentare una pur equa distribuzione del carico fiscale in maniera tale che i benestanti pagassero in rapporto ai propri averi ed i meno abbienti non fossero tassati al di sopra delle loro possibilità, ma, come quasi sempre accade nelle comunità umane di tutti  i tempi, ciò non si verificò in nessuna delle Università del regno di Napoli.

[1][1] La copia del Catasto conservata a Limatola pare sia andata distrutta nell’incendio che si sviluppò nell’Archivio municipale della vecchia sede comunale, alla fine degli anni ’40 del secolo scorso, pertanto è reperibile solo la copia conservata  nell’Archivio di Stato di Napoli.

[2][2] Cfr. F.Trinchera. Degli Archivi napoletani, Napoli 1854, p. 28. per la consistenza attuale cfr. J.Mazzoleni, Le fonti documentarie e bibliografiche dal secolo X al sec. XX , conservate presso l’Archivio di Stato di Napoli, Napoli 1978, V.II, pp. 100-102.

[3][3] Cfr. Cfr. L Cervellino, Direzione ovvero guida delle Università di tutto il Regno di Napoli per la sua retta amministrazione, Napoli, 1756, T.II, pp. 7 e 10.

[4][4] Carrettieri

[5][5] Vergine in capillis = donna non ancora sposata.

[6][6] Cfr. M.Marotta, Limatola dal ‘700 all’’800, Loffredo ed., Napoli 1980, testo che si è tenuto presente anche per le tabelle riportate.

[7][7] Cfr. C. Klapisch M Demonet, La famille toscane ou début du XV siècle, , in “Annales Economies Sociétés Covilisation,  Faculté des Lettres de Nice, Ottobre 1972.


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