La “svolta” che non si realizzò

tratto da Il Nostro Novecento

di Lidia Di Lorenzo

   Il 25 ottobre 1860, a Proclamazione del Regno di Italia avvenuta, Giorgio Pallavicino, Pro-dittatore, su ordine di Garibaldi, firmò il Decreto istitutivo della Provincia di Benevento, che fu confermato il 17 febbraio del 1861 dal Luogotenente del Re, Eugenio di Savoia Carignano.

Benevento riconquistava la sua naturale contiguità politica e amministrativa con l’area circostante, ponendo fine ad una sudditanza allo Stato Pontificio[1], durata ben otto secoli, come enclave papale nel territorio sannita.

Fu allora compito dei politici attribuirle un’area provinciale, ricavandola dalle Province del Principato Ulteriore: Circondari di Vitulano, Montesarchio, S. Giorgio la Montagna (oggi S. Giorgio La Molara), e i Comuni di Arpaise e Ceppaloni; dalla Provincia del Molise: Circondari di Pontelandolfo, Morcone, S. Croce di Morcone (oggi S. Croce del Sannio), Colle, Baselice; dalla Provincia di Terra di lavoro: Circondari di Cerreto, Cusano, Guardia Sanframondi, Solopaca, Airola, S. Agata dei Goti, e dalla Capitanata: Circondari di S. Bartolomeo in Galdo e Castelfranco. Il progetto prevedeva il disegno geometrico del perimetro, con il capoluogo equidistante dai vari Comuni aggregati, quasi come se si fosse fatto uso di un compasso puntato sulla città sannita.

“La Provincia le sta disposta dintorno ed ella siede come nel centro, quasi equidistante dai diversi punti del perimetro, il quale nella più gran parte è determinato dai confini naturali”[2].

Rischiarono di rimanere all’interno, tra gli altri, alcuni Circondari, come Caiazzo e Piedimonte, per citare quelli più vicini a noi, che si ritenevano estranei alla cultura, alla tradizione, alla storia beneventana[3]. Si ipotizza che l’intervento della classe politica di detti paesi, o semplicemente il buon senso, riuscissero a sanare l’errore che si stava perpetrando. Limatola, che si presentava geograficamente esclusa da quella rappresentazione grafica, costituendo un cuneo che si insinua nel territorio casertano, poteva non essere coinvolta, ma non ebbe in quel momento “chi la difendesse a viso aperto”. Fu assegnata a Benevento, in quanto facente parte del circondario di Solopaca (?), tenuto conto anche del fatto che i duchi Gambacorta, i duchi Mastellone, che risiedevano nel castello medioevale, avevano avuto in mano per oltre duecento anni le sorti di Limatola, Dugenta, Melizzano e Frasso insieme, territori tutti annessi alla nuova Provincia.

Limatula[4], la piccola pianura, la striscia di terra stretta tra i Monti Tifatini e il fiume Volturno, costituita da gruppi di case dislocate in quattro o cinque zone distinte, fino a poco tempo fa senza legami tra di loro, fatta eccezione di una strada che solo alla fine degli anni ‘50 vide l’asfalto, non avendo alcuna identità, non avendo una classe di persone istruite o politicamente informate, non colse l’occasione neanche nel giugno 1945, quando, chiusa l’epoca mussoliniana e finita la Seconda Guerra Mondiale, la Provincia di Caserta, che era stata abolita nel 1927[5], in favore della “Grande Napoli”, venne ripristinata.

 I motivi per cui fosse stata abolita la Provincia di Caserta restano ancora un enigma per gli storici. Si disse allora causata dalla presenza di numerose forze antifasciste nella città. La documentazione che segue sembra smentire l’ipotesi accreditata nel tempo. Si ricordi, tuttavia, che la soppressione della Provincia di Terra di Lavoro fu l’unica in periodo mussoliniano. Della soppressione si giovarono Roma, Frosinone, Campobasso e soprattutto Napoli. A Benevento passarono 16 Comuni dei 23 che costituivano il Circondario di Piedimonte d’Alife (oggi Piedimonte Matese)[6].

 Mussolini in un telegramma inviato all’Alto Commissario di Napoli comunicava che il Consiglio dei Ministri aveva “dato alla Provincia di Napoli il suo necessario respiro territoriale”. In un altro telegramma inviato al Prefetto di Caserta si complimentava con la cittadinanza di Caserta per aver “accolto con alto encomiabile senso di disciplina le decisioni del Governo fascista ispirate come sempre ai criteri di ordine rigidamente nazionali”. Aggiungeva: “la Provincia di Caserta scompare, per offrire più ampio spazio e respiro alla più grande ormai vicinissima Napoli” e concludeva: “questo sacrificio deve essere e sarà accolto con fraterno spirito di solidarietà nazionale”[7].

Ripristinata la Provincia nell’immediato secondo dopoguerra, Caserta recuperò i territori che aveva ceduto. Limatola si lasciò sfuggire, anche in quella evenienza, la possibilità di un riordino dei confini provinciali. Non ebbe neanche allora un solo piccolo protettore che si impegnasse per impedire che si perpetrasse “una seconda vera ingiustizia”.

La popolazione aveva allora solo interesse alla scarsa agricoltura e viveva di ciò che c’era intorno alla propria casa e nel proprio paese. I “signorotti” abitavano nelle città, lo testimonia il fatto che nessun palazzo gentilizio fu mai qui costruito, al di fuori del Castello medioevale, utilizzato saltuariamente dai duchi del momento. Né un parroco, né un amministratore, un medico, un farmacista, e neppure un proprietario terriero (la famiglia Canelli vantava già nella sua genealogia medici, avvocati, sacerdoti) furono in grado allora di prevedere i disagi, di cui in seguito si sarebbero sentite le conseguenze nella comunità. La Carta di identità fu istituita nel 1931, e allora cominciò ad essere necessaria al cittadino una qualche documentazione, da richiedere all’Ente locale e alla Provincia. Ma fu negli anni ‘60, con l’avvento del terziario, che si avvertì il bisogno di collegarsi alla città di riferimento provinciale, per il disbrigo di pratiche indispensabili al lavoro e alla vita quotidiana.

Nel 1966 l’Amministrazione Comunale, allora democristiana, guidata dal preside Antonio Carrese fece il primo tentativo di passaggio alla Provincia di Caserta, con una massiccia raccolta di firme di concittadini. Il tentativo fu infruttuoso in quanto aveva come interfaccia Roma e l’opposizione prevedibile di tutti i parlamentari beneventani, ma in particolar modo del potente onorevole Giovanni Malagodi, Segretario Nazionale del Partito Liberale Italiano.

Nell’anno 1972, con l’istituzione delle Regioni a statuto ordinario, avvenuta nel 1970, sembrò fossero giunti i tempi opportuni per reiterare la richiesta.

Un gruppo di studenti e professionisti costituirono il Comitato per l’annessione del Comune di Limatola alla Provincia di Caserta, allo scopo di sensibilizzare l’intera cittadinanza a veder riconosciuto un diritto fino ad allora negato. Il documento, conservato negli archivi del Comune di Limatola e in possesso in copia dal prof. Andrea Carrese, che lo ha messo gentilmente a disposizione per il presente lavoro, riporta la costituzione del Comitato civico, le delibere del Consiglio Comunale e quella di Giunta, la delibera della Giunta della Provincia di Caserta.

            A corredo, e come base della petizione, il documento presenta una dotta e circostanziata relazione sulle giustificazioni storiche, geografiche, logistiche, sociali, ambientali, che vanno dalla vicinanza a Caserta (Limatola dista Km. 15 da Caserta e Km. 50 da Benevento), ai collegamenti (esisteva ed esiste un trasporto pubblico che collega Limatola a Caserta), ai rapporti commerciali, al prosieguo in questa città degli studi superiori da parte della quasi totalità degli studenti, alla tendenza a scegliere questa città in modo esclusivo da parte degli abitanti costretti a trasferirsi in città, e poi a motivi di lavoro, e non ultimo all’appartenenza alla Diocesi di Caserta. Tutte queste motivazioni, che avevano allora una validità indiscutibile, sono da ritenere valide anche oggi, pur essendo intervenute nel frattempo la motorizzazione capillare, l’uso diffuso delle nuove tecnologie e uno svilimento del valore della Provincia a favore della Regione.

Difficoltà se ne verificano ancora oggi. In questo particolare momento storico, afflitto dalla pandemia dovuta al covid-19, l’appartenenza alla A.S.L. Benevento crea alla popolazione non pochi seri problemi. Le ambulanze del 118 trasportano gli ammalati (fatta eccezione dei cosiddetti codici rossi) negli ospedali del capoluogo provinciale, con un percorso da coprire in non meno di 50 minuti, invece che nella vicina Caserta, raggiungibile in non più di 15 minuti. IL “confino” all’interno della propria provincia di appartenenza, imposto dai Decreti emanati ad hoc, ha in effetti “isolato” il nostro paese. In caso di incendio, calamità naturali o pericoli imminenti, sono autorizzati al soccorso i Vigili del Fuoco dell’area beneventana; il Tribunale di riferimento e l’Archivio di Stato sono nel capoluogo di provincia. E c’è tanto altro. Non meno importante è il fatto che gli Istituti Superiori di Caserta spesso rifiutano l’iscrizione agli alunni di altra provincia, per motivi di capienza della struttura.

Il promotore e più convinto sostenitore del passaggio di Provincia, nel 1972, fu il prof. Andrea Carrese, che, evitando accuratamente di rivestire la leadership dell’iniziativa, assunse la carica di Vice Presidente e Segretario del Comitato. Venne coinvolta l’Amministrazione locale, che prese in carico l’iniziativa, nella persona del Sindaco pro tempore Rosario Canelli, Presidente. Vi fecero parte, tra gli altri, l’ex sindaco preside Antonio Carrese, il dott. Attilio Marotta, il N.H. Don Francesco Canelli, Don Vincenzo D’Agostino e tanti studenti e persone influenti, rappresentanti delle varie frazioni[8]. Un grosso registro, oggi andato perduto, contenente le firme di 2.449 cittadini su 3.252 residenti a Limatola, come sottoscrizione popolare, era accluso alla documentazione, che fu sottoposta, insieme alla Delibera del Consiglio Comunale di Limatola, all’Amministrazione della Provincia di Caserta. La Giunta provinciale di Caserta, in data 12 ottobre 1972, espresse parere favorevole, ritenendo valide le motivazioni addotte. Promise e attuò l’inoltro dell’esito del voto favorevole “alla Regione Campania, agli Organi di Governo, a tutti i Parlamentari, Assessori e Consiglieri Regionali di Terra di Lavoro”.

Sembrava raggiunto l’obiettivo. Non si conoscono le ragioni del fallimento anche di questa seconda istanza. Ufficialmente l’impedimento avvenne per motivi burocratici da Roma.  Si presuppone invece che il diniego sia stato da addebitarsi dell’Ente Provinciale di Benevento, che avrebbe visto un impoverimento della propria popolazione provinciale a vantaggio di Caserta, titolare di un territorio già vasto e molto popolato.

Si sussurrò anche che politici locali, in accordo con quelli di livelli più alti, apparentemente favorevoli, fossero in effetti contrari all’iniziativa. I primi per consuetudini amicali già consolidate con uomini di spicco della Provincia, e i secondi perché comunque Limatola costituiva per essi un bacino abbastanza consistente di voti.

L’istanza di passaggio, nonostante non abbia avuto risposta, è un documento pregevole, che testimonia un momento di presa di coscienza dei propri diritti da parte del popolo di Limatola, un momento di partecipazione, di aggregazione. Al comitato avevano aderito con propri rappresentanti tutte le forze politiche del paese, comprese quelle sindacali, mettendo a tacere, in vista di un fine comune, quelle competizioni che si materializzavano nei periodi elettorali, accese e a volte veementi, ma sempre fatte in nome di proprie convinzioni e di chiari ideali politici e sociali.

Non sono documentati nel secolo scorso, né di recente, altri tentativi finalizzati a raggiungere l’obiettivo sopra descritto, o semplicemente dibattiti sull’argomento. 

Il disbrigo di pratiche e i collegamenti inevitabili con il capoluogo di provincia continuò ad essere effettuato, per alcuni anni, così come avveniva tra gli anni ’50 e i ’70. Persone che avevano maggiore dimestichezza con la lingua italiana, capaci di rapportarsi, senza timidezze, con impiegati di ufficio cittadino, abbastanza esperti delle “cose del mondo”, raccoglievano le istanze dei loro compaesani, e una volta alla settimana si recavano a Dugenta, con mezzi di fortuna o con la bicicletta. Qui prendevano il treno per raggiungere il capoluogo. Si ricorda, nella frazione Casale, Salvatore Cimmino, scherzosamente noto tra l’altro per essere un acceso anacronistico monarchico. Questi era un cittadino abbastanza evoluto rispetto agli altri. Aveva frequentato le scuole medie, e settimanalmente prendeva il pullman insieme agli studenti, scendeva a Cantinella, risaliva su un pullman diretto a Dugenta e di lì prendeva il treno per Benevento. Quando aveva un carico di lavoro oneroso, che lo avrebbe impegnato per molte ore, si faceva accompagnare direttamente a Benevento dal primo servizio taxi del nostro paese, il cui titolare era Carlo Marotta, tristemente poi perito in un incidente stradale verso Firenze. Salvatore portava con sé pratiche da sbrigare, che i compaesani convogliavano a casa sua per una intera settimana. La Previdenza sociale, l’Istituto per gli infortuni sul lavoro, la Motorizzazione, il Casellario giudiziario, erano per lui luoghi di frequentazione continua, e si diceva che avesse anche corsie privilegiate, a causa dell’insistenza, quasi petulante, con cui si rivolgeva agli impiegati nei vari uffici, pur di essere puntuale nel dare risposta ai suoi concittadini.

La diffusione capillare dell’automobile, l’apertura della Strada Statale Caianello-Benevento e la Provinciale Fondo Valle Isclero ha “avvicinato” Limatola al suo capoluogo di provincia, ma non ha annullato la distanza, né ha diminuito il senso di quasi estraneità ad esso. Benevento è pur sempre una città prestigiosa, elegante e carica di storia. Con Terra di lavoro Limatola ha elaborato nel tempo linguaggio, usi, tradizioni, senso di appartenenza, e continua ad avere con essa, nonostante la globalizzazione e i collegamenti rapidi con tutto il mondo, rapporti privilegiati.

[1] Con il Trattato di Worms del Natale del 1052 lo Stato Pontificio nella persona del Papa Leone IX cedeva i propri diritti sui vescovadi tedeschi di Bamberga e Fulda al Sacro Romano impero, nella persona dell’Imperatore Enrico III di Franconia (1016-1056), e in cambio riceveva Benevento, che divenne poi un territorio pontificio nel Regno di Napoli. L’enclave divenne effettiva nel 1077 alla conclusione del dominio longobardo nel territorio sannita. Rimase tale, fatta eccezione per il breve periodo napoleonico di inizio 800, fino alla Proclamazione del Regno d’Italia.

[2] F. Panza – V. Signoriello, Costituzione della Provincia di Benevento (3 settembre 1860-15 maggio 1861), Benevento 1990.

[3] Si pensi al Comune di Pannarano, situato nei pressi di Montesarchio nell’avellinese, un’isola beneventana nella Provincia di Avellino.

[4] Si fa qui una nuova ipotesi sull’etimologia del nome Limatola. Considerati i non pochi luoghi presenti nel territorio di Benevento e di Caserta dal nome Limata, che rappresentando una zona spianata, prescindono dalla vicinanza ad un corso d’acqua, e tenuto conto che il diminutivo della lingua latina si realizzava aggiungendo il suffisso tulusa um (es. Tulliola per piccola Tullia, Fabiola per piccola Fabia), si ritiene che per indicare la striscia di terra compresa tra il Volturno e i Tifatini, di dimensioni allora più piccole, si usasse dire la piccola pianura. Quindi non Limata, ma Limatula.

[5] Il 2 gennaio del 1927 venne eliminata la Provincia di Caserta, per formare la “Grande città di Napoli” e fu ripristinata dopo la seconda Guerra mondiale, l’11 giugno 1945, recuperando i territori che aveva ceduto, annessi per lo più da Napoli e Benevento.

[6]Cfr. F. Pizzaroni, Tra Regime e Burocrazia: Caserta 1935-1945. Un Viceprefetto, una provincia, Perugia 2018, pp. 65-66.

[7] G. Capobianco, Fascismo e moderazione. La scomparsa di Terra di Lavoro del 1927, Caserta 1991, p. 11.

[8] Per l’elenco completo dei membri del Comitato esecutivo si rimanda all’Opuscolo conservato agli Atti del Comune di Limatola: Istanza per il passaggio del Comune di Limatola alla Provincia di Caserta. Un’ingiustizia, un anacronismo, che non deve durare. Limatola 5 settembre 1972.

autore: Lidia Di Lorenzo


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